Riflessioni sullo scenario geoeconomico attuale e sulle conseguenze per le aziende italiane
Il 30 settembre del 2022 stavo rientrando dalla prima visita organizzata per il network Hike Up CEO Roundtable. Fabbriche lean, buon cibo e buona compagnia
Ero in macchina con uno dei CEO partecipanti e abbiamo iniziato a parlare della situazione che stava prendendo forma attorno a noi: a febbraio era scoppiato il conflitto in Ucraina e non era ancora chiaro dove questo ci avrebbe portati.
Durante quel viaggio raccontai la mia teoria. In sostanza: gli USA avevano provocato la Russia, cercando di conquistare politicamente ed economicamente l’Ucraina, terra (e risorse naturali annesse) storicamente sotto l'influenza russa. Certo non l’hanno fatto per caso, ma perché la Russia stava iniziando a mettere il naso in Europa e a rappresentare un serio rischio per l’ordine mondiale costituito.
Inizialmente gli USA hanno portato avanti questo obiettivo in Ucraina per via “diplomatica”, cioè formando e finanziando le persone al potere per avvicinare il paese agli alleati Europei, per poi armarle e supportarle durante la rivoluzione di Maidan del 2014. A questa provocazione, la Russia rispose con l’annessione della Crimea e con il finanziamento e il sostegno di gruppi militari filorussi in Donetsk e Lugansk.
Per 8 anni la NATO (leggi “gli USA”) ha addestrato e organizzato gli ucraini in preparazione di un conflitto con la Russia, cosa che è appunto avvenuta proprio ad inizio 2022.
Il conflitto in Ucraina è solo la punta dell’iceberg
Ma perché gli USA hanno posto così tanta attenzione all’Ucraina? Sembra quasi abbiano cercato di provocare questo conflitto, più che supportare un paese invaso.
Non fraintendetemi, non sto dicendo che i russi siano i buoni e che gli americani siano i cattivi. Prima di tutto, perché in una guerra non credo si possa parlare di buoni. Ma ancora di più perché il conflitto ucraino appare ai miei occhi come una prima “scaramuccia di periferia” per testare la situazione e iniziare a colpire il nemico ai lati.
La mia teoria al tempo era questa, e oggi lo è ancora di più: gli USA avevano capito che si stava avvicinando, velocemente e minacciosamente, il punto di non ritorno. Il momento, cioè, in cui la Cina e tutte le nazioni che le ruotavano attorno sarebbero diventate economicamente e militarmente più forti degli Stati Uniti d’America.
E, una volta conquistato questo primato, non sarebbero più state a guardare, a giocare secondo le regole imposte dagli altri. Le regole le avrebbero dettate loro, anche con la forza se fosse servito. Abbiamo iniziato a vedere proprio questo in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa, dove Cina e Russia stavano tessendo interessi economici e politici crescenti (se ne saranno accorti per esempio i tedeschi, che per anni sono cresciuti importando gas russo ed esportando macchinari e tecnologia ai cinesi…).
Per questo motivo, gli USA, perseguendo i propri interessi, non potevano più stare ad aspettare e si sono mossi per evitare di raggiungere il punto di non ritorno, ammesso che non sia già stato superato.
Circa un anno dopo quel viaggio, in cui ho espresso più o meno per la prima volta questi miei pensieri in modo organico, ho letto ”Principles” di Ray Dalio (o meglio ho ascoltato, visto che ormai per me i libri sono stati sostituiti dagli audiolibri…). Informandomi sull’autore, mi sono imbattuto in un interessantissimo video divulgativo dal titolo Principles for Dealing with the Changing World Order by Ray Dalio (se siete pigri potete guardare la versione ridotta di 5 minuti Principles for Dealing with the Changing World Order (5-minute Version) by Ray Dalio).
In questo video, in sostanza, si avvalora la tesi che avevo sostenuto un anno prima, fornendo soprattutto una esaustiva spiegazione razionale sul perché ciò stia avvenendo (e anche perché sia già successo molte volte in passato, prima con gli Olandesi, poi con gli Inglesi, ora con gli Americani).
Secondo questa linea di pensiero, il conflitto Ucraino è solo un tassello di un conflitto molto più ampio che include dazi, divieti, incentivi e qualsiasi altro mezzo lecito e non lecito per ridurre lo scambio tra USA (leggi “USA e tutti quelli che gli ruotano attorno”) e Cina (leggi “Cina e tutti quelli che le ruotano attorno”).
E questa riflessione ci porta ad oggi, quando le aziende iscritte ad Hike Up CEO Roundtable hanno avuto il privilegio di interagire direttamente con il Prof. Fabio Sdogati proprio su questi temi.
Le conseguenze della contrapposizione USA-Cina per le imprese italiane
Sdogati mette in luce la contrapposizione tra USA e Cina da tempo all’interno del suo blog www.scenarieconomici.com. E in particolare ha studiato, e continua a studiare, le mosse che i governi stanno ponendo in essere all’interno di questo conflitto, per misurarne gli effetti economici.
Chi ha partecipato all’incontro ha ricevuto risposte molto precise, ma anche leggendo gli articoli disponibili al pubblico si capisce una cosa: se prima il mondo era governato in sostanza dagli USA e dal dollaro, se prima la Cina era uno strumento della politica economica USA, da una decina d’anni a questa parte la musica è cambiata. Cina e USA hanno gradualmente intrapreso un processo di “decoupling” (accelerato dal COVID e dai recenti conflitti mondiali) finalizzato a far sì che entrambe le parti si facciano meno male nel momento in cui si dovesse strappare d’un colpo il filo che le unisce (per esempio, in caso - spero estremo - di guerra).
Qualcuno potrebbe chiedersi perché parlo di USA e Cina: dopotutto siamo in Europa, anzi in Italia… a noi interessa relativamente poco di cosa fanno USA e Cina.
Purtroppo non è così. In questo momento di transizione, ogni nazione è chiamata a decidere da che parte stare e l’Italia (pur rimanendo, come da tradizione, amica di tutti) non può che stare dalla parte degli USA (dopotutto facciamo parte della NATO, che di fatto è lo strumento con cui gli USA controllano militarmente il proprio impero conquistato dopo la seconda guerra mondiale…).
Ecco che, allora, diventano più evidenti le conseguenze di questo conflitto anche per le aziende italiane, che stanno già toccando con mano come, in qualche modo (apparentemente fatto di una serie imprevedibile di incidenti e catastrofi), sia sempre più difficile fare affari con il blocco cinese, con la Russia e con l’Iran.
Risvolti pratici per le aziende italiane che commerciano con la Cina
Questa traiettoria non può che proseguire, pertanto dobbiamo aspettarci che sarà sempre più difficile fare affidamento su fornitori e clienti cinesi, mentre saremo favoriti nell'instaurare rapporti commerciali e industriali con paesi “amici” (degli USA).
Chi oggi ha un modello di business che fa molto affidamento su produttori cinesi dovrebbe agire da subito per trovare fornitori alternativi in paesi, per l’appunto, “amici”. Molte grandi aziende americane e non hanno già delocalizzato in Vietnam, Messico e in altri paesi in via di sviluppo parte delle proprie produzioni.
Per il momento sembra che il fenomeno in atto non sia il famoso reshoring, ma piuttosto un passaggio da una globalizzazione deregolamentata a una globalizzazione regolamentata, dove i governi impongono di fatto con chi fare business e in quali ambiti.
Capire come questo scenario si declini e quale impatto abbia all’interno delle proprie aziende, è compito dei CEO che le guidano.
Per lo meno, oggi i CEO sanno che dovrebbero resistere alla tentazione di applicare gli stessi filtri decisionali che hanno usato negli ultimi decenni, perché la situazione è già cambiata e sta continuando a cambiare sempre più velocemente.
Se hai un commento su questo articolo scrivimi a raffaele@hikeupconsulting.com
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